La rigenerazione urbana è una delle questioni più presenti nel dibattito architettonico degli ultimi anni. Nella sola Europa si contano almeno tre casi eclatanti di rigenerazione di zone dismesse che hanno stabilito l’importanza del “rifare” accanto a quella del “fare”: sono i progetti di recupero delle aree portuali di Londra, Amsterdam e Rotterdam.
A Londra la riprogettazione dei Docklands, le banchine commerciali un tempo usate per lo smistamento delle merci provenienti dal Tamigi, ha trasformato una zona impoverita e malfamata in una delle vetrine più ambite della città, con abitazioni, uffici, negozi, piazze e luoghi di incontro nei quali passeggiare fra lo scintillio dei vetri e il profumo di spezie che torna a farsi sentire nelle giornate limpide.
Non meno ambiziosi sono stati il masterplan di Jo Conen per l’isola KSNM e quello di West 8 per le penisole di Borneo e Sporenburg di Amsterdam, ai quali si aggiungono i recuperi più recenti di altre due sezioni del porto, l’Oostelijke Handelskade e la Rietlanden, con la sala concerti affacciata sull’acqua, la torre di Neuteling e Riedijk e la conversione in hotel di un ex ostello per immigranti dei primi del Novecento.
Sempre restando in Olanda, la nuova vita del Wilhemina Pier di Rotterdam è stata improntata al modello dell’edificio alto, con un sistema di torri – progettate ciascuna da un diverso architetto, tra i quali Norman Foster, Alvaro Siza, Cruz e Ortiz – che ospitano uffici e residenze, e i cui piani terra, con negozi, ristoranti, cinema, si confrontano da un lato con la strada e dall’altro con l’acqua.
Progetti di recupero, questi, capaci di mantenere viva la memoria dei luoghi, e allo stesso tempo di promuovere un forte rinnovamento estetico, progettuale e funzionale.
Progetti che, per usare le parole dell’architetto Armando Dal Fabbro, coinvolgono superluoghi, “luoghi in divenire, luoghi che attendono ancora un progetto”, nei quali “le vestigia del recente passato si evolvono per accogliere nuove funzioni […] in un luogo finora dedicato solo al lavoro: con le piazze, il verde, bar, ristoranti, negozi e con spazi destinati alla cultura e allo spettacolo”.
Ed è in questo medesimo contesto, seppure in proporzioni più ridotte, che nasce l’idea del Venezia Lifestyle Center dello stesso Dal Fabbro: un intervento che acquista valore non solo come riscoperta delle potenzialità del singolo oggetto architettonico, ma come primo passo verso un futuro progetto di rigenerazione urbana, e che assume il ruolo di volano per il rilancio di attività e di possibilità.
Un esempio virtuoso che mostra ciò che sarebbe possibile: una ridefinizione globale dell’area di Porto Marghera, un nuovo rapporto con il waterfront e con lo scenario di Venezia e della sua laguna, e insieme un nuovo modo di fare architettura, in una visione d’insieme fondata su principi di sostenibilità (da cui l’impiego di materiali tipici locali, come il vetro, autoctoni e prodotti sul territorio, come il laminato zintek® delle coperture) che promuova una rinascita architettonica e funzionale
Come aggiunge ancora Dal Fabbro, infatti, “è l’uso che, oltre a mantenere viva l’immagine e la memoria di un luogo, lo può a maggior ragione ricordare non come reliquia inattuale di archeologia industriale postmoderna, ma come evento di una nuova idea di contemporaneità” nella quale il passato non viene dimenticato ma usato e rivivificato.